L’impresa di Giorgio Romiati e di Edoardo Meazzi

Il dott. Giorgio Romiati dopo la laurea in medicina a Padova nel 1899, viene incaricato dal padre a dirigere la tenuta di famiglia che comprendeva le terre paludose lungo la costa alla destra della foce del Livenza, tra San Giorgio, Brian, Valle Altanea ed Eraclea. Negli anni  precedenti alla grande guerra, Romiati inizia l’opera di bonifica delle paludi della sua tenuta, per poi dover sospenderli a causa del conflitto.

Durante la prima guerra mondiale, Romiati in quanto medico è richiamato nell’esercito come ufficiale con il grado di capitano e, dopo la disfatta di Caporetto quando il fronte arretrò sino alla linea del Piave, si rese protagonista di azioni di spionaggio in campo nemico.
Il territorio della palude di Caorle si era venuto a trovare in zona operazioni dell’ esercito Austro-Ungarico ma Romiati, grazie alla sua conoscenza del territorio in quanto bonificatore della destra Livenza, sapeva perfettamente come muoversi tra canali e paludi e riuscì ad infiltrarsi senza problemi dietro le linee nemiche per poter passare informazioni al comando italiano della III armata quindi si offrì volontario per partecipare ad una missione di spionaggio.

Il dott. Giorgio Romiati in uniforme di capitano medico durante la prima guerra mondiale

Insieme a un gruppo di arditi che si auto nominò “la giovane Italia” prepararono una missione ad alto rischio: bisognava calcolare il grave pericolo che si correva nel passare molti giorni con la minaccia costante di essere scoperti e catturati con conseguente prigionia, tortura o addirittura l’impiccagione. Inoltre per poter entrare nel territorio di Caorle l’unico modo era aggirare il Piave per via aerea con idrovolanti, ma anche qui i rischi erano enormi perché senza strumenti i voli notturni erano rischiosissimi e l’ammaraggio notturno presentava chiari pericoli di incidente mortale.

Il piano venne comunque formulato e si trattava di addentrarsi nelle valli di Caorle, spacciandosi come disperati in fuga da campi di prigionia italiani. Non avrebbero avuto alcuna uniforme militare italiana ne documenti personali di riconoscimento con sè, ma solo abiti semplici da contadini e così mimetizzati dovevano, a gruppi di due persone, tentare di infiltrarsi tra le retrovie nemiche fino alle zone di Udine, carpire quante più informazioni dai soldati Austro-Ungarici per poi tornare alla spiaggia di Caorle in uno dei giorni convenuti ed attendere gli idrovolanti che li avrebbero portati in salvo.

LA MISSIONE

La missione capitanata da Giorgio Romiati ebbe inizio la notte del 17 Agosto 1918. Avrebbe operato insieme al giovane tenente Edoardo Meazzi, di ventidue anni e originario di Mantova, così i due insieme ad altre coppie di volontari a bordo di un idrovolante pilotato dal tenente di vascello Eugenio Casagrande partono dalla stazione “Giuseppe Miraglia” di Sant’ Andrea di Lido per ammarare nel canale Nicesolo alle ore 21:45 a diversi chilometri dalle zone abitate. Come campo base decisero di usare un casone di pescatori nella laguna dove nascosero parte dei loro bagagli e da li le coppie di spie si separarono iniziando subito l’esplorazione delle zone circostanti.

Il tenente Meazzi, che già aveva dei documenti falsi ottenuti da una precedente evasione dal territorio nemico, iniziò a camminare lungo gli argini del Nicesolo incontrando quasi subito una pattuglia nemica che gli chiese i documenti e, mostrati ai militari le sue false generalità, questi li presero per buoni e lo lasciarono stare.

Il giorno dopo attraversò le campagne bonificate e raggiunse la casa di Tessarin, il sindaco di Caorle di allora, comunicandogli la sua vera identità e la missione a cui partecipava. Nel frattempo Giorgio Romiati, che era privo di documenti e rischiava la cattura, attese per tutto il giorno il ritorno del tenente sdraiato in mezzo ad un campo di granoturco temendo più volte di venire scoperto dai soldati austriaci che passavano a pochi metri da lui.
Alla sera però fu raggiunto dal tenente e dal sindaco che lo portarono a casa di un contadino poco lontano dove trascorsero la notte.
Il sindaco di Caorle iniziò subito a collaborare con le due spie fornendo loro documenti di identità veri dal comune e certificati di immunità alla malaria conferendo ai due militari italiani le identità di Augusto Cibin ed Eugenio Fleborea, meglio conosciuti da quel momento come “el barba e so nevodo“, cioè lo zio e suo nipote, di professione contadini.

Disegno segnaletico distribuito dagli austriaci per la cattura di Giorgio Romiati

Da quel momento poterono circolare senza preoccupazioni tra Caorle, San Giorgio di Livenza e Brian dove Giorgio Romiati possedeva la sua tenuta e aveva molte persone fidate che lavoravano per lui i quali, incontrandolo, immediatamente si resero disponibili a collaborare per il buon esito della missione.

Arrivato alla sua tenuta Romiati scopre che gli austriaci non trovandolo in casa al momento dell’ occupazione e sapendo che era un ufficiale dell’ esercito italiano, avevano messo una taglia su di lui: 50000 corone vivo o morto.
Per sua fortuna i suoi fedeli lavoratori avevano rubato tutti i manifesti che i nemici avevano affisso alle porte della tenuta e fatti sparire.

Il “barba e so nevodo” avevano creato una rete fittissima di informatori e spie che giornalmente li aggiornava sul numero di soldati nemici presenti, gli spostamenti e i mezzi che avevano a disposizione.
Inoltre il sindaco di Caorle forniva loro in continuazione documenti e lettere e messaggi da parte dei cittadini di Caorle da far recapitare al comando italiano.

IN CASA DEL NEMICO

La missione stava quindi procedendo bene e senza intoppi, ma i due avevano ancora un imprevisto asso nella manica da giocarsi.

Da alcuni contadini i due militari scoprono che un comando di ufficiali Austro-Ungarici si era stabilito in zona e dal dicembre del 1917 occupavano un casolare per poter ottenere latte, burro e formaggio dalle stalle che era di proprietà del sig. Montanari, con cui Romiati era in buoni rapporti.
“El barba e so nevodo” rischiano il tutto per tutto e si presentarono presso la tenuta.
Il proprietario nel riconoscere l’amico Romiati quasi si tradisce per l’emozione e rischia di farli scoprire ma poi, ricompostosi e messo al corrente delle vere intenzioni dei due, senza indugio decide di aiutarli prendendoli a servizio come contadini ed assegnando loro un alloggio in uno sgabuzzino confinante, guarda caso, con le stanze degli ufficiali austriaci in comando.

I loro abiti sporchi, barbe lunghe, aspetto trasandato e un comportamento volutamente impacciato non diedero molti sospetti tra gli ufficiali nemici impegnati giornalmente in riunioni di comando. Questi li credevano due semplici contadini disperati che cercavano in qualsiasi maniera di sopravvivere come, d’altronde, ce ne erano tanti altri in giro in zona e non sospettarono mai di aver diviso per una settimana il tetto con due ufficiali italiani in incognito.

Nei giorni seguenti la raccolta di informazioni da parte dei due fu sempre più proficua e oltre alle sempre maggiori informazioni da parte della loro rete di fedelissimi dalle campagne e dal comune di Caorle, si aggiunsero anche le preziosissime conversazioni tra ufficiali durante le riunioni per decidere i piani di guerra ed arricchirono la collezione di informazioni con vari documenti e mappe sui piani di attacco e di manovra degli austriaci lungo il fronte del Piave.

A partire dal 25 agosto iniziarono a pianificare la fuga sempre con il preziosissimo supporto della popolazione locale. I pacchi con le lettere e i documenti consegnati dal sindaco vengono chiusi e sigillati con lastre di piombo e carta oleosa, quindi preparati per essere trasportati e nascosti al punto d’incontro con l’idrovolante di Casagrande previsto per la notte del 28 agosto presso il casone lungo il canale Nicesolo dove erano stati lasciati ad inizio missione.
Meazzi con alcuni caorlotti procede quindi a perlustrare la zona di Falconera dove gli austriaci avevano ormeggiato la motonave Linz a difesa della costa e studiarono un piano alternativo per poter scappare via mare in caso l’appuntamento con l’idrovolante non fosse andato a buon fine.

LA FUGA

La notte tra il 27 e il 28 di agosto viene messa in atto la fuga. I due, aiutati dalle fidate persone locali, lasciano la casa del Montanari e passando per il Brian raggiungono i canali che portano alla valle. Si incontrano l’ultima volta in un casolare insieme ad altri italiani che hanno svolto la stessa missione in altre zone occupate e, sapendo che gli austriaci erano a conoscenza di movimenti sospetti tra le campagne, decidono di passare tutta il giorno seguente separati e nascosi tra i canneti per evitare di essere scoperti e catturati insieme. Calato il sole escono dai loro nascondigli e si presentano al punto di incontro seguendo il canale illuminato dalla luna piena, attendendo l’arrivo dell’ idrovolante che si presentò all’ appuntamento in piena notte planando in acqua a motore spento.

Il decollo non fu semplice, a causa del peso maggiore dei pacchi con le preziose informazioni che trasportavano, addirittura quasi rischiarono una collisione con la motonave nemica di pattuglia alla foce del Nicesolo da cui gli austriaci li illuminarono con un faro ma senza aprire il fuoco contro di loro forse tratti in inganno dal pilota che virò in direzione di Trieste, venendo quindi probabilmente confusi per un idrovolante appartenetene all’ esercito austriaco.

A destra Giorrgio Romiati (el barba), a sinistra Edoardo Meazzi (el nevodo) in uniforme italiana
A destra Giorgio Romiati (el barba), a sinistra Edoardo Meazzi (el nevodo) in uniforme italiana

I gruppo capitanato da Romiati fece così ritorno a Venezia, dove ad attenderli si trovavo sia gli ufficiali italiani ansiosi di ricevere i preziosi documenti, sia Carlotta Prosdocimi, moglie di Giorgio Romiati.

Giorgio Romiati, il Tenente Meazzi con il resto del gruppo di spie dopo la missione vennero decorati con la medaglia d’argento al valor militare per “essersi offerti volontari a impresa delicatissima e sommamente pericolosa, portata a compimento con rara perizia, con magnifico coraggio e con profonda coscienza di soldati e cittadini” mentre a fine guerra il tenente di vascello Eugenio Casagrande per aver trasportato e recuperato ben 16 missioni di informatori tra Venezia e Caorle vi vedrà appuntata al petto dal Re in persona la medaglia d’oro e conferito il titolo onorifico di Conte di Conte di Villaviera (frazione di Caorle).

Come sappiamo dai libri di storia, solo due mesi dopo l’impresa di Romiati e Meazzi, l’esercito italiano riuscì a sfondare il fronte del Piave, respingendo l’esercito nemico sino a Vittorio Veneto, ponendo fine alla prima guerra mondiale.